La mostra, organizzata dal Nobile Collegio del Cambio di Perugia, è parte di una serie di iniziative espositive promosse dalla Galleria degli Uffizi e note con il nome di “Città degli Uffizi”.
Allestita nella Sala dell’Udienza e nella Cappella di San Giovanni, la mostra si propone di far dialogare alcune opere della prestigiosa galleria fiorentina con gli affreschi di Pietro Perugino (coadiuvato da Raffaello?) presenti nel Collegio del Cambio. In particolare verrà messo a confronto il celebre Autoritratto del Vannucci, dipinto sulla parete sinistra della Sala dell’Udienza, con l’Autoritratto giovanile di Raffaello conservato nella Galleria degli Uffizi e con il cosiddetto Ritratto del Perugino, sempre degli Uffizi, da alcuni considerato autoritratto, da altri ritenuto opera di Raffaello (o di Lorenzo di Credi).
Il tema dell’autoritratto offre l’occasione per tornare a riflettere su un argomento caro al mondo dell’arte, almeno da quando tale genere di rappresentazione si associa alla consapevolezza, pienamente raggiunta in epoca rinascimentale, ma già serpeggiante nelle menti più colte e raffinate del proto-umanesimo fiorentino, che il pittore (ma anche lo scultore) svolge un’attività liberale, un’attività in cui il ruolo della mente è preponderante rispetto a quello della mano; in altri termini, da quando l’artista prende coscienza, per usare le parole di Edouard Pommier, “che ha il potere di mostrare la bellezza fino al punto in cui questa si confonde con lo splendore della rivelazione divina”. Non è un caso che l’uso di autoritrarsi, prima sotto forma occulta o mascherata, poi in maniera sempre più autonoma e scoperta, proceda di pari passo con l’affermazione del ruolo sociale dell’artista.
“La celebrazione – osserva ancora Pommier, riflettendo sugli onori tributati ai grandi artisti del rinascimento – comporta l’autocelebrazione”. E’ naturale, dunque, che chi pratica l’arte, specie se ad alto livello, avverta il desiderio di perpetuare la memoria di sé, di entrare nella storia consegnando ai posteri non solo le proprie opere ma anche il proprio volto. Inizialmente il ritratto dell’artista è legato all’opera prodotta, è inserito all’interno della stessa, costituisce un compromesso fra l’atto di umiltà di chi ancora si sente homo mechanicus e l’affermazione di una nuova consapevolezza. “In un primo tempo fatto scivolare, come di contrabbando, in un racconto sacro” esce successivamente da questa “semiclandestinità per affermare a gran voce la coscienza di sé, anzi il proprio orgoglio.”
Da questo punto di vista l’Autoritratto di Perugino al Cambio, collocato in mezzo agli uomini famosi e accompagnato da un’epigrafe celebrativa dettata dall’umanista Francesco Maturanzio, dove è definito “egregius pictor”, appare quanto mai esemplificativo.
Il confronto in mostra fa il volto del maturo maestro umbro e l’Autoritratto del giovane Raffello consente di allargare la riflessione sul tema della composita e ben organizzata bottega del Perugino nella quale transitò, tra il 1498 e il 1500, anche l’esordiente Raffaello.
Gli stessi affreschi del Cambio rivelano in alcune parti, stando a quanto sostengono alcuni studiosi, la mano del sedicenne-diciassettenne urbinate.
A rendere più articolato e dinamico questo progetto espositivo, concorre la presenza del famoso Autoritratto di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato. Anch’esso concesso in prestito dalla Galleria degli Uffizi, l’Autoritratto del Sassoferrato consente di affrontare il suggestivo tema della rivisitazione secentesca dei modi espressivi di Perugino e di Raffaello.
Per illustrare questo argomento la mostra presenta sette opere del pittore marchigiano ispirate, più o meno liberamente, ai prototipi dei due artisti rinascimentali. Conservate nella basilica di San Pietro a Perugia, le sette opere di Sassoferrato danno la misura dell’impegno messo dall’artista nel riproporre i celebri e venerati modelli della tradizione figurativa tardo-quattrocentesca e primo-cinquecentesca.
Allineandosi con quanto suggerito dalla precettistica contro riformata, che raccomanda ai pittori di realizzare “immagini oneste e devote, con que’ segni che gli sono stati dati da gli antichi per privilegio de la santità”, Sassoferrato mette a punto una produzione figurativa che se da un lato riporta a nuova vita le levigate eleganze peruginesche e raffaellesche, dall’altro introduce formule iconografiche e stilistiche di indubbia originalità, utili al rafforzamento e alla diffusione della fede cattolica.
La mostra sarà curata dal Prof. Francesco Federico Mancini, ordinario di Storia dell’Arte Moderna nell’Università di Perugia, e dal Prof. Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi.