Sculture restaurate dopo il sisma
Il Nobile Collegio del Cambio, tra le più antiche istituzioni della città di Perugia, ha come fine principale la conservazione, la valorizzazione e il restauro del patrimonio artistico che custodisce. In seguito agli eventi sismici del 2016, che hanno causato danni incalcolabili e sconvolto la vita di migliaia di persone, gli organi rappresentativi dell’Ente hanno avvertito l’esigenza di offrire un contributo alla rinascita dei luoghi più colpiti della Valnerina.
In piena coerenza con i propri fini istituzionali, il Collegio del Cambio ha deliberato dunque di restaurare le tre sculture oggetto di questa esposizione, individuate insieme alla Soprintendenza. Il sapiente restauro dei tre intagli lignei, caratterizzati da uno straordinario realismo e da una potente carica espressiva, ha restituito loro l’originale splendore e ci consente di poterli esporre nella loro ritrovata integrità, prima che vengano ricollocati nelle loro sedi originarie
(Vincenzo Ansidei di Catrano – Rettore del Nobile Collegio del Cambio).
Il gruppo ligneo – un Cristo crocifisso , una Madonna addolorata e un San Francesco – è frutto di un assemblaggio avvenuto in epoca imprecisabile. Lo si ricava dall’esame delle statue che hanno declinazioni stilistiche differenti. I tre legni intagliati provengono dalla chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie in Sant’Anatolia di Narco, ma non è dato sapere se si trovassero originariamente in quell’edificio oppure in un altro luogo di culto.
Il Cristo Crocifisso , di fattura rimarchevole, è realizzato con straordinario realismo anatomico e potente carica espressiva. Il costato, le braccia, le gambe e i piedi sono modellati con grande perizia; la tensione delle muscolature, le vibrazioni dei tendini, il dolore indicibile del volto producono nell’osservatore una partecipazione attiva e un profondo coinvolgimento emotivo. Tutto il corpo, inerme e spossato, reca i segni della violenza subita durante le tappe della Passione. Ma il dettaglio che più colpisce è la corona di spine piantata sul capo: uno strumento di tortura tutt’altro che idealizzato, eseguito ricorrendo a veri aculei provenienti da rami di rovo.
Un esame ravvicinato della statua evidenzia una forte vicinanza a modelli fiorentini di primo Cinquecento. Viene in mente il Crocifisso di Francesco da Sangallo realizzato per il convento delle Oblate a Firenze; e in generale si può affermare la continuità tipologica del nostro Crocifisso con le opere di Baccio da Montelupo, autore di Cristi in croce in cui la scolpita evidenza delle forme funge da modello per numerose successive declinazioni. Il Cristo di Sant’Anatolia di Narco, pienamente inquadrabile in questo contesto, si distingue per l’accuratezza dello studio anatomico, la finezza dei dettagli e il convincente realismo. In definitiva ci troviamo di fronte a un capolavoro, verosimilmente attribuibile a Francesco da Sangallo e databile intorno al 1520.
Il sapiente restauro della scultura, la cui autentica bellezza era oscurata da strati di depositi superficiali e da vernici protettive ossidate, ha restituito all’opera la sua – quasi intatta – policromia originale e ha riconsegnato alla nostra ammirazione la sua peculiare modulazione cromatica, un bianco tendente al violaceo scelto dall’artista per sottolineare il momento del trapasso e la natura umana, prima ancora che divina, del corpo di Cristo.
All’incirca contemporanee, ma di altro ambito culturale, sono le statue della Madonna addolorata e del San Francesco . Espressione di una devozione popolare incline al patetismo e alla contrizione, le due effigi si caratterizzano per i volti segnati dal dolore e le pose declamatorie e teatrali. La Vergine, a mani conserte, manifesta la sua disperazione volgendo lo sguardo verso l’alto. Qui il realismo, spinto ai limiti del caricaturale, si concentra sulla bocca socchiusa a mostrare i denti e la lingua, mentre il naso, le gote e il mento si colorano di un rosa intenso. Il baricentro della statua è sensibilmente spostato a destra per accentuare lo slancio verso il Cristo. Concepita per essere vista dal basso e da una certa distanza, la scultura risponde alla regola prospettica di fare maggiori le parti che si trovano più vicine allo spettatore e minori quelle più lontane.
Si giustifica così l’apparente sproporzione delle mani rispetto alla testa. Al pari della Madonna addolorata , anche il San Francesco si rende partecipe di questo “teatro” a un tempo commovente e doloroso. Allarga le braccia a evidenziare, alter Christus , le stimmate, i segni della sua vicinanza con il Redentore; così come, attraverso una fessura della tonaca, è immediatamente leggibile la sua ferita sul costato, che si spinge all’interno quanto basta per mostrare la carne viva e sanguinante. Non è facile inscrivere queste statue in un preciso contesto storico-artistico.
Tuttavia alcuni dettagli avvicinano i due simulacri all’ambiente camerte che, tra i maestri “lignaminis” più autorevoli e attivi, annovera scultori come Sebastiano di Giovanni d’Appennino e Domenico Indivini. Studiati espressionismi come le bocche munite di denti o le lingue, evidenziate in tutta la loro ruvida consistenza, denotano l’intento di essere il più possibile aderenti alla realtà e di catturare l’attenzione dell’osservatore.
C’è da dire, tuttavia, che la forte carica emozionale presente nel San Francesco travalica la contenuta gestualità delle statue camerti: il viso del Poverello, di impressionante magrezza, è rigato dalle lacrime e anche la sua tonaca, sapientemente modellata, sembra assecondare il ritmo dinamico della figura, proiettandola efficacemente nello spazio circostante
(Francesco Federico Mancini).